Nel panorama poetico italiano,
ormai così desolato, è raro che spunti qualche fiore che conforti
col suo profumo questa società inquinata alle radici, come direbbe
Italo Svevo. Ma questo fiore cresce in mezzo ai miasmi e ai veleni
che si ammantano di forme vistosamente abbaglianti, dietro le quali
c'è il marcio di una umanità alla deriva. Leggere poesia, ci si
chiede, oggi è ancora lecito e possibile?
Tra
le mani mi è capitata una raccolta di versi del poeta
Domenico Marras, già noto per precedenti pubblicazioni.
E quel che ho subito rilevato è il pessimismo con cui il Marras vede
articolarsi la vita che stiamo
vivendo; un pessimismo cupo che potrebbe sintetizzarsi
nella lirica d'apertura (A che prò?): "Anzi,
spesso non sei più niente!". Tuttavia il canto del
Poeta si leva incontaminato sperando che possa, non
solo e non tanto consolare, quanto (e soprattutto) additare all'uomo
e all'era scialba della tecnologia il cielo della purezza e della
libertà: perché, nonostante
lo strazio del Poeta, la visione ultima e il compito eterno della
"POESIA" è, anche per il Nostro, quello
di indicare attraverso le parole il BELLO, il BUONO,
il GIUSTO. (Prefazione
di Giovanni Drago)