Vivo in Sardegna ormai da
oltre una trentina d'anni. Anche se di nascita e di formazione
culturale io sono siciliano, mi sono impregnato di cultura sarda sia
per motivi di lavoro, che per ragioni di vita, avendo così avuto
modo di raccogliere molti elementi della realtà culturale che
caratterizza quest'isola rispetto alle altre regioni italiane. In
particolare delle varie parlate che compongono il mosaico espressivo
dei Sardi, ho buona esperienza tanto del Gallurese che del Sassarese.
È
così che mi sono ammalato di mal di Sardegna. Fra l'altro già in
passato avevo rivolto la mia attenzione alla realtà etnografica
gallurese pubblicando nei "Quaderni di Scienze Antropologiche"
di Padova (1982, 8: 278-329) un saggio sulla "Gallura: passato
prossimo - Appunti etnologici su una gente che cambia". In tale
saggio cercavo di approfondire il problema per cui questa regione
della Sardegna
stia vivendo un momento particolare della sua storia, un momento di
rinunzia ad un certo passato e di apertura verso un mondo nuovo,
forse non completamente migliore di quello trascorso. In questa mia
attuale fatica, io ritorno a un motivo della cultura gallurese: quello
degli stazzi, un tipo di cultura che ho assorbito e metabolizzato sia
prendendo visione di molta parte della letteratura specifica in merito, sia utilizzando schede da me compilate in occasione dei miei contatti diretti con la gente degli stazzi. [...] (dalla
presentazione dell'Autore)