Nel romanzo di Mario Nieddu "La pietra incisa" ci sono tutti
gli elementi narrativi per affascinare il lettore.
Innanzitutto la ricerca. Una ricerca speciale. La ricerca
archeologica.
Visivamente ci è
familiare il "mito" mediatico di Indiana Jones alla scoperta di
mondi perduti; anche il nostro
protagonista viaggia nel tempo, in uno spazio a noi familiare, la
Sardegna dei siti nuragici e prenuragici.
Un altro espediente
letterario che attrae, utilizzato magistralmente già nel
"Manoscritto trovato a Saragozza " di Jan
Potoki, è usato sapientemente anche da Nieddu : la scoperta di un
documento da decifrare, un
canto che arriva dalle profondità della preistoria ad illuminare il
favoloso popolo dei nuraghi. I sommari descrittivi ci fanno immaginare con contorni vividi e
verosimili, la vita dei nostri progenitori,
di quel "pastore" protosardo cui si deve la suggestiva
teogonia del canto finalmente
decifrato. L'origine del mondo è raccontata ripensando alle teogonie
classiche, da Esiodo a Luciano, e
con riferimenti ai miti dei popoli dell'Antica America, Maya ed
Incas.
Il tempo del
racconto in cui si svolge la ricerca è a noi contemporaneo; ma il
tempo della storia che si spalanca per
decifrare la "pietra incisa" è molto più antico e profondo.
Ancestrale. In questo romanzo
Mario Nieddu dimostra di usare la penna- il computer- con la stessa
bravura che lo accompagna nella
sua opera di scultura. La Grande Madre di
pietra ha sorriso al pastore-scrittore della teogonia perduta, ed
adesso ritrovata, ne "La
pietra incisa" di Mario Nieddu. (Nota critica di Neria De Giovanni)