Ho accolto con piacere la
richiesta di scrivere una prefazione al libro su Gianni Argiolas e le
sue opere d'arte diffuse in Sardegna. Per tre motivi: l'amicizia che
mi lega all'estensore del testo e all'artista; la piacevolezza della
scrittura; l'essere Picciau monserratino e come giornalista l'aver
agito sempre occupandosi e preoccupandosi dei problemi del paese. Non
farei però un buon servizio a nessuno dei due, se non dicessi con
molta sincerità di essere stato avvinto
da questo lavoro. Lo scritto di Pietro Picciau non è un racconto,
anche se in qualche modo narra vicende ed esperienze di vario genere
che alimentano la curiosità del lettore. Non è un excursus
bibliografico sull'artista Gianni Argiolas, ma con una scrittura
asciutta, essenziale, il giornalista scava tra le opere d'arte non
tanto come critico, ma come un reporter. Non è neppure un semplice
"mosaico" di impressioni ricevute leggendo ora i quadri ora le
sculture dell'artista monserratino.
Picciau
propone un qualcosa di diverso, dà vita ad un susseguirsi di piccoli
e grandi avvenimenti
umani e artistici per entrare nelle problematiche concrete e
vitalissime che danno nutrimento agli stessi fenomeni narrati
attraverso le opere d'arte. Il montaggio fluisce in una varietà di
temi costruiti dalle opere d'arte ordinate dall'esperienza in modo da
orientare la lettura e la ricerca.
Con
questo libro, a mio parere, si è costruito un altro tassello alla
storia di Monserrato. Non è però un fatto fine a se stesso. È
un
cammino
che si inserisce storicamente in altre realtà di paesi vicini
nelle contraddizioni di culture e tradizioni completamente distanti
ma pur sempre con un unico filo conduttore: l'arte pittorica e le
sculture di Gianni Argiolas. Eppure non è un testo storico, nel
senso letterario della parola. Si presenta come un silenzioso quanto
evidente coinvolgimento emozionale di chi scrive per interpretare.
[...] (dalla
prefazione di Gigi
Dessì)